LO STILE VERDUN PER BALLARE IL TANGO
Lidia Ferrari
Nella mia precedente casa-studio del mio amato “barrio” (quartiere, ndt) di Palermo Viejo, quando ancora non si era convertito nel vanesio Palermo Hollywood, avevo un vicino chiamato Verdun. Condividevamo il corridoio in questa casa di costruzione tradizionale del barrio di Palermo. Quelle case chiamate PH o “casa-chorizo” (= casa -salsiccia: tipo di abitazione tradizionale a Buenos Aires caratterizzata da un cortile centrale con le stanze tutt'attorno, raggiungibili sia dal cortile sia attraverso porte intercomunicanti. ndt) che sono rimaste relegate dalla nuova fisionomia degli elegantissimi e carissimi alti edifici che non portano solo ombra ai “patio” delle case. Sapevo che il mio vicino si chiamava Verdun poiché vedevo la sua corrispondenza all'entrata. Era ingegnere, specialista in caldaie. Era di quegli ingegneri, specie in estinzione, che lavorano duro con le loro mani. In un angolino della sua casa costruiva e inventava caldaie con un aiutante più giovane che eseguiva, con sicurezza, il compito più pesante. Verdun (così lo chiamavamo), aveva abbastanza più di 75 anni. Era snello e dal portamento elegante. Non aveva la raffinatezza di un elegante signore di Recoleta, ma la dignitosa eleganza di un portegno che ha vissuto quello che deve vivere. Balli, donne, famiglia, lavoro. Un uomo di Buenos Aires, senza dubbio. Ma non il suo stereotipo. Con la prestanza semplice della verità. Un autentico signore di quartiere, ingegnere, conoscitore del suo lavoro e del suo ambiente. Di un signore così non si sarebbe potuto fare alcun rilievo particolare, poiché non aveva nulla di speciale. Doveva essere vedovo o divorziato da molto tempo. La sua figlia viveva in Spagna e aveva una fidanzata giovane e psicotica. Verdun si vestiva come quei tanghéri o quegli appassionati di corse di cavalli che vanno la domenica all'ippodromo di Palermo col loro vestito migliore, un po' invecchiato e passato di moda, un po' adattato al corpo, per quando l'occasione lo richiede. Niente di particolare in Verdun, salvo che un giorno, avendo saputo che insegnavo tango nel mio studio, mi espresse il suo desiderio di venire alle mie lezioni di gruppo. E come no, Verdun! Sarà un piacere per me! Verdun venne, e ci mettemmo a ballare. E il vecchio ballava. Ballava tango. Non aveva bisogno di imparare. Vabbè, non è che non potesse imparare, ma non aveva bisogno di imparare, a mio parere. Verdun ballava come tanti, tantissimi uomini portegni e argentini. Quelli che hanno ballato da giovani, che hanno ballato molto o sufficientemente. Quelli che nei decenni del '40 o del '50 (calcolo approssimativamente) ballavano nelle sale da ballo, nei club, nelle feste. Verdun non era andato a nessuna scuola. Verdun ballava con la semplicità e la precisione di un uomo che la prima cosa che sente è la musica. La musica succhiata da bambino, immersa dentro il corpo e che sempre lo aveva fatto ballare. Ballava bene. Ballava come se fosse la musica a portarlo, e non come se fosse lui a seguire la musica. Avanzava con un dondolio e con un abbraccio fermo e sicuro. Mi offriva quel piacere, uno dei più belli di ballare il tango, di essere cullata da due braccia forti. Qualcosa del piacere femminile nel tango deve provenire dal ricordo di un certo primitivo essere ninnate, quelle braccia virili che possono cullarci dolcemente.
Verdun mi cullava come tanti altri uomini anziani con i quali ebbi l'opportunità di incontrarmi in feste e matrimoni. Tutti luoghi per nulla convenzionali del tango, al contrario delle milonghe. Il tango esiste anche in questi luoghi non tanghéri. Esiste in tutta la vita sociale argentina. In qualche compleanno ballavo con lo zio di una amica di mia sorella, e questo signore era per me la grande emozione della notte. Non era di quei giovani vecchi milongheri che ballano nelle milonghe o nei club. Quelli che mai smisero di frequentare con poca o sufficiente assiduità i luoghi di tango. Lo stile Verdun non era questo. Mi raccontò che da giovane aveva ballato molto nei club. Però poi si era sposato e come tanti non era tornato a ballare, a parte occasionali feste familiari. Altri, anch'essi dello “stile Verdun”, avevano continuato andando sporadicamente a questi club. Nell'interno dell'Argentina come in Buenos Aires esistono questi piccoli club o luoghi dove si ballano la cumbia e il tango. Dove convivono tutti i balli popolari del momento, e anche il tango. In questi piccoli club, nei Centri per Pensionati, nelle Associazioni e Società di Patrocinio di quartiere si organizzano balli, feste dove la gente “più anziana” va a ballare per “mantenere il vizio”. E loro ballano come ballavano molto tempo fa. In modo semplice. Alla Verdun. Verdun camminava con qualche controtempo quando la musica glielo richiedeva. Faceva pochi “ocho” per la donna, solo nelle occasioni in cui collocava l'arcaico “corte”. Fermava il movimento e muoveva la donna perché facesse qualche piccolo “ocho”. E con la mano, poiché non sapeva condurre col torso. Però questo arresto, per nulla pronunciato o evidente stava in relazione ad alcuni accordi più forti, con qualche accento ritmico che chiamava il taglio. Mai un incrocio. Mai un adornato incrocio. Era un camminare in modo semplice e ritmato. Però era una felicità ballare con Verdun, perché la sua semplicità lasciava tutto il posto al ballo nell'abbraccio con la musica.
Verdun mi chiedeva che gli insegnassi a ballare come lo stavo facendo con il gruppo. Molte donne facevano fatica a ballare con lui perché non si facevano portare sufficientemente. Perché non capivano la sua maniera. E non era che non le sapesse “marcare”. Bisognava entrare in sintonia con la sua sensibilità. Qui si nota quando una ballerina è preparata, ossia quando può farsi portare da qualunque compagno, in qualunque stile le proponga l'uomo. Verdun poteva ballare con quelle che si lasciano portare dalla cadenza della musica, da questo abbraccio semplice e profondo. Niente sequenze basiche, giri, strani pivot. Un dolce farsi cullare dalla musica. Un tango ascoltato come lo si deve ascoltare. Un tango sentito profondamente, naturalmente, essenzialmente.
Verdun è questo protagonista della storia del tango. È il soldato sconosciuto del tango. Quello che ballò nei club, seguì le orchestre, comprò i dischi, ascoltò le radio. Verdun è uno di questi innumerevoli uomini orgogliosi di esserlo. È questo portegno o uruguagio che faceva sbocciare il ballo come la cosa più naturale della sua vita. Ascoltare Gardel o ballarsi qualche tango erano cose tanto essenziali come bere mate o cucinare un asado. Tanto naturale e impercettibile per la sua vita. Ora sembra che questo si sia convertito in un atto quasi eroico. Sì, in un certo senso lo è. Come è eroico vivere e continuare la vita di una comunità amandola senza darsene conto. Amare le cose proprie della vita della comunità perché sono così, solo per questo. Verdun è il portatore di un segreto che si trasmette e si riceve da mano a mano.
Io proposi a Verdun che venisse a ballare nelle mie lezioni, dato che gli piaceva moltissimo. Per lui era ritrovarsi con la sua gioventù, con i suoi propri desideri. Veniva incantato alle lezioni ad abbracciare queste giovani un poco reticenti a ballare con lui. Loro desideravano braccia giovani e un ballo un po' più complesso. Io godevo nel ballare qualche tango con lui. Gli proposi che venisse solo a ballare. Cercammo, a sua richiesta, di trasmettergli qualche passo. Gli risultava un po' difficile. Cosa risultava difficile, a quest'uomo, che era tutto fatto di tango? Gli costava entrare in un lavoro di assorbire una nuova maniera. Il suo stile di ballare tango era il suo. Era di tutta la vita. Gli dissi che non aveva senso che imparasse qualcosa, poiché già sapeva. Pensai anche che la esperienza poteva essere inversa. Che Verdun potesse insegnarci qualcosa. Però lui voleva solo ballare. Mi pareva che l'esperienza più interessante era che ballasse con le ragazze e che io cercassi di trasmettere loro quale fosse l'incanto del suo ballo, anche quando loro ancora non lo potessero capire.
Perché Verdun, come quell'illustre soldato sconosciuto degli eserciti del tango, non è quello che nei club emergeva per il suo ballo. In ogni barrio c'era, così lo raccontano alcuni vecchi ballerini, un club o un salone dove si ballava tango. E lì emergeva qualcuno, che potremmo riconoscere ora come maestro, come Portalea di Sin Rumbo. Ogni ballo, ogni barrio aveva qualche ballerino di tango rinomato. Dicono che un abile ballerino di un barrio non andava a ballare al centro di riunione di un altro barrio. Colui che si distingueva era unico, e aveva cura del suo posto. E anche i suoi vicini avevano cura del suo posto. In ogni locale o club c'erano ballerini più bravi che erano in grado di fare effettuare l'incrocio alla donna, che erano in grado di fare il giro, che sapevano mostrare le loro abilità con i piedi. Erano quelli che forse avano imparato in qualche scuola, anche se la maggioranza avevano appreso dai genitori, o dai fratelli maggiori, dagli amici del barrio, dagli altri ballerini del club. Erano quelli che avevano cominciato a ballare da piccoli e che cercavano di ballare sempre un po' meglio, di aggiungere figure, mostrare le loro destrezze. Questi anziani che ci raccontano la loro storia ci dicono che in ogni barrio c'erano differenze nel modo di ballare. Ci raccontano che fra barrio e barrio c'erano differenze... piccole, però grandi per quelli che erano immersi nel micromondo del quartiere. I più osservatori, i più impegnati, i ballerini assidui di ogni barrio lo notavano.
Lo stile Verdun è lo stile di quelli che, semplicemente, ballavano. Piaceva loro ascoltare certe orchestre. Avevano i loro cantanti o vocalisti prediletti. Ballavano e impararono a ballare in modo semplice. È molto probabile che nessuno avesse loro insegnato. Che entrassero nell'arena della pista e lì, spontaneamente, la danza cominciasse. Poi, con il tempo, si stabilirono in uno stile personale e semplice, e continuarono così. Ogni tango che ballavano era una sfida, non di destrezza tecnica, ma la sfida di rinnovare un piacere.
Verdun smise di venire a queste lezioni del sabato. Però sempre quando mi vedeva entrare nel corridoio mi diceva “Sabato prossimo, vengo!...” I suoi occhi brillavano quando lo diceva. Si capiva la felicità nel suo modo di dirlo, sul suo volto. La sua vita era abbastanza opaca, in quei giorni. Recuperava la sua brillantezza, quando ballava tango.
Si potrebbe pensare che lo stile Verdun era più autentico di altri? Sarebbe uno sproposito dirlo. Si potrebbe dire che la semplicità di Verdun è quella del vero tango? Nulla di più lontano dal vero. Si tratta di convertire Verdun in un modello da imitare? No, poiché è inimitabile.
La potenza della musica per Verdun e per il suo ballo è la medesima della potenza della musica per un ballerino straordinario come Gustavo Naveira[1]. Tutti e due sono spinti, dominati, dalla musica. Però è chiaro: ci sono grandi differenze. Gustavo sa quello che sta facendo. Questo sapere è un tipo di dominio di ciò che fa. Però tuttavia la sua sensibilità di fronte alla musica è la stessa che quella di Verdun. La musica li prende tutti e due alla pancia e li fa ballare. Gustavo può sezionare in piccole particelle ciò che fa, quando spiega la ragion d'essere di ognuno dei suoi movimenti. Inoltre può arricchire i suoi movimenti di ballo, può dominare il suo corpo perché l'interpretazione sia più ricca, più abile, più variata. Però tutti e due condividono qualcosa che fa che un ballerino di tango sia un autentico ballerino, e cioè che la musica li colpisce in maniera tale che il loro ballo viene determinato da essa.
La distanza che c'è fra Gustavo e Verdun è enorme se li vediamo dalla distanza piccola del barrio. Così come si vedevano piccole differenze fra barrio e barrio, allo stesso modo possiamo vedere grandi differenze di stile fra Gustavo Naveira e Verdun. Ma sono poi differenze di stile? Forse sì, forse no. Dipende dalla distanza del luogo da dove si osservi. Però in qualcosa non sono differenti. Nessuno dei due può smettere di godere di ballare il tango con la musica.
Se scegliamo di guardare dalla distanza che ci è permessa dall'epoca di Google Earth, vedremo che le differenze si riducono, e che Gustavo e Verdun sono vicini di casa dello stesso barrio, della stessa sensibilità.
Forse nello stile che ora viene chiamato “milonguero” si riflette qualcosa di questo spirito semplice dello stile Verdun. Però lo stile milonguero si è ormai trasformato in uno stile sofisticato, rispetto al Verdun propriamente detto. E perché no? Perché non andare acquisendo nuove destrezze, nel momento in cui si conservi lo stesso piacere del ballo? Verdun voleva arricchire il suo ballo. Voleva ricrearlo. Non per tradire il suo stile, ma per godere di qualcosa di nuovo. Io gli proposi di insegnargli qualche piccola cosa conservando il suo stile. Però imparare a ballare come lo facevamo noi era dovere mettere una grande parentesi in quello che faceva. Certamente, Verdun poteva aggiungere qualche passo per sentirsi meglio. Però è anche certo che Verdun già era arrivato al suo stile. Già aveva il suo ballo completo. E aveva quello che non tutti tengono: la sensibilità per la musica, e il movimento, il suo.
Quello che facciamo noi ora, che ormai abbiamo accademizzato l'insegnamento, che possediamo conoscenze della dinamica dei movimenti, è cavalcare sopra un tango molto più ricco, complesso, interessante nel suo aspetto tecnico.
Anche se è certo che dobbiamo insegnare ad ascoltare la musica. Nessuno insegnò a Verdun come doveva muoversi con certe orchestre, e meno ancora quello che doveva provare, sentire. Nessuno disse a Verdun come doveva “sentire” la musica. Questo ci fu in lui da sempre. Ora dobbiamo organizzare seminari perché la gente ascolti i timbri, i ritmi, i fraseggi delle differenti orchestre e possa interpretarli. Però non lo insegniamo per imporre un modo. Lo insegniamo perché altrimenti la gente non balla con la musica, fa passi e figure senza metterci quello che è la fibra fondamentale dello stile Verdun: la musica è ciò che ti fa ballare.
Sebbene ciò capiti soprattuto con gli stranieri, ossia con quelli per i quali la musica del tango è qualcosa di strano, nuovo, esotico, è anche certo che per molti rioplatensi la musica del tango è qualcosa che ha smesso di essere il luogo in cui si è nati. Per molti di qui (Buenos Aires, ndt)la musica è qualcosa che bisogna lasciare entrare nella nostra sensibilità.
Però non si tratta solo del fatto di potere ascoltare la musica, ma che i movimenti che essa provoca rispondano al suo timbro, al suo colore, alla sua cadenza.. Non si tratta solo di andare al ritmo con la musica. Questo si può fare, e tuttavia la sensibilità del movimento provocato dalla musica non si vede, non si riflette.
La sfida che hanno le nuove generazioni con il tango non è solo potere ricreare il ballo nel suo aspetto tecnico. È chiaro che il momento attuale è di una complessità crescente, di cui non possiamo sapere dove finirà nel suo accelerato, continuo e sorprendente arricchimento. La sfida è che si balli con la musica, con questa sensibilità naturale che fa sì che il movimento risponda ai colpi della musica, al suo ritmo, alla sua melodia e al suo fraseggio. La sfida che si continui con questa forte eredità di un ballo segnato dalla musica.
Verdun rappresenta l'anonimo popolo che alimenta lo spirito del tango senza saperlo, senza avere idea di quello che fa. Casualmente, Verdun si chiama come quella battaglia della prima guerra mondiale in cui morirono circa mezzo milione di soldati francesi e tedeschi. Sembra che fosse qualcosa come un pareggio (le mie conoscenze della prima guerra mondiale sono scarse). Dicono che fu un pareggio virtuale in una battaglia non decisiva. Credo che Verdun, il mio vicino di casa, sia uno di quei milioni di soldati sconosciuti che combatte in una battaglia, forse non cruciale, però certamente una battaglia, quella del tango, che si continua a sostenere giorno dopo giorno da parte di ciascuno che lo balli, col suo protagonismo anonimo, forse non decisivo, ma di certo essenziale.
[1]Scelgo di nominare Gustavo Naveira per metterlo in relazione con Verdun poiché egli è il maggior esponente di un certo stile di ballare il tango che alcuni sono molto interessati a separare da altri stili. Sono moltissimi i nomi di ballerini che potrebbero rappresentare qui questa cosa che condividono Gustavo e Verdun, moltissimi nomi di ballerini famosi così come anonimi. Il contrappunto è per ravvicinare questi due, Gustavo e Verdun, che molti vogliono distanziare.
TRADUCCIÓN: PIER ALDO VIGNAZIA
Fragmento de mi libro "Tango. Arte y misterio de un baile". Corregidor, 2011
Lidia Ferrari
Nella mia precedente casa-studio del mio amato “barrio” (quartiere, ndt) di Palermo Viejo, quando ancora non si era convertito nel vanesio Palermo Hollywood, avevo un vicino chiamato Verdun. Condividevamo il corridoio in questa casa di costruzione tradizionale del barrio di Palermo. Quelle case chiamate PH o “casa-chorizo” (= casa -salsiccia: tipo di abitazione tradizionale a Buenos Aires caratterizzata da un cortile centrale con le stanze tutt'attorno, raggiungibili sia dal cortile sia attraverso porte intercomunicanti. ndt) che sono rimaste relegate dalla nuova fisionomia degli elegantissimi e carissimi alti edifici che non portano solo ombra ai “patio” delle case. Sapevo che il mio vicino si chiamava Verdun poiché vedevo la sua corrispondenza all'entrata. Era ingegnere, specialista in caldaie. Era di quegli ingegneri, specie in estinzione, che lavorano duro con le loro mani. In un angolino della sua casa costruiva e inventava caldaie con un aiutante più giovane che eseguiva, con sicurezza, il compito più pesante. Verdun (così lo chiamavamo), aveva abbastanza più di 75 anni. Era snello e dal portamento elegante. Non aveva la raffinatezza di un elegante signore di Recoleta, ma la dignitosa eleganza di un portegno che ha vissuto quello che deve vivere. Balli, donne, famiglia, lavoro. Un uomo di Buenos Aires, senza dubbio. Ma non il suo stereotipo. Con la prestanza semplice della verità. Un autentico signore di quartiere, ingegnere, conoscitore del suo lavoro e del suo ambiente. Di un signore così non si sarebbe potuto fare alcun rilievo particolare, poiché non aveva nulla di speciale. Doveva essere vedovo o divorziato da molto tempo. La sua figlia viveva in Spagna e aveva una fidanzata giovane e psicotica. Verdun si vestiva come quei tanghéri o quegli appassionati di corse di cavalli che vanno la domenica all'ippodromo di Palermo col loro vestito migliore, un po' invecchiato e passato di moda, un po' adattato al corpo, per quando l'occasione lo richiede. Niente di particolare in Verdun, salvo che un giorno, avendo saputo che insegnavo tango nel mio studio, mi espresse il suo desiderio di venire alle mie lezioni di gruppo. E come no, Verdun! Sarà un piacere per me! Verdun venne, e ci mettemmo a ballare. E il vecchio ballava. Ballava tango. Non aveva bisogno di imparare. Vabbè, non è che non potesse imparare, ma non aveva bisogno di imparare, a mio parere. Verdun ballava come tanti, tantissimi uomini portegni e argentini. Quelli che hanno ballato da giovani, che hanno ballato molto o sufficientemente. Quelli che nei decenni del '40 o del '50 (calcolo approssimativamente) ballavano nelle sale da ballo, nei club, nelle feste. Verdun non era andato a nessuna scuola. Verdun ballava con la semplicità e la precisione di un uomo che la prima cosa che sente è la musica. La musica succhiata da bambino, immersa dentro il corpo e che sempre lo aveva fatto ballare. Ballava bene. Ballava come se fosse la musica a portarlo, e non come se fosse lui a seguire la musica. Avanzava con un dondolio e con un abbraccio fermo e sicuro. Mi offriva quel piacere, uno dei più belli di ballare il tango, di essere cullata da due braccia forti. Qualcosa del piacere femminile nel tango deve provenire dal ricordo di un certo primitivo essere ninnate, quelle braccia virili che possono cullarci dolcemente.
Verdun mi cullava come tanti altri uomini anziani con i quali ebbi l'opportunità di incontrarmi in feste e matrimoni. Tutti luoghi per nulla convenzionali del tango, al contrario delle milonghe. Il tango esiste anche in questi luoghi non tanghéri. Esiste in tutta la vita sociale argentina. In qualche compleanno ballavo con lo zio di una amica di mia sorella, e questo signore era per me la grande emozione della notte. Non era di quei giovani vecchi milongheri che ballano nelle milonghe o nei club. Quelli che mai smisero di frequentare con poca o sufficiente assiduità i luoghi di tango. Lo stile Verdun non era questo. Mi raccontò che da giovane aveva ballato molto nei club. Però poi si era sposato e come tanti non era tornato a ballare, a parte occasionali feste familiari. Altri, anch'essi dello “stile Verdun”, avevano continuato andando sporadicamente a questi club. Nell'interno dell'Argentina come in Buenos Aires esistono questi piccoli club o luoghi dove si ballano la cumbia e il tango. Dove convivono tutti i balli popolari del momento, e anche il tango. In questi piccoli club, nei Centri per Pensionati, nelle Associazioni e Società di Patrocinio di quartiere si organizzano balli, feste dove la gente “più anziana” va a ballare per “mantenere il vizio”. E loro ballano come ballavano molto tempo fa. In modo semplice. Alla Verdun. Verdun camminava con qualche controtempo quando la musica glielo richiedeva. Faceva pochi “ocho” per la donna, solo nelle occasioni in cui collocava l'arcaico “corte”. Fermava il movimento e muoveva la donna perché facesse qualche piccolo “ocho”. E con la mano, poiché non sapeva condurre col torso. Però questo arresto, per nulla pronunciato o evidente stava in relazione ad alcuni accordi più forti, con qualche accento ritmico che chiamava il taglio. Mai un incrocio. Mai un adornato incrocio. Era un camminare in modo semplice e ritmato. Però era una felicità ballare con Verdun, perché la sua semplicità lasciava tutto il posto al ballo nell'abbraccio con la musica.
Verdun mi chiedeva che gli insegnassi a ballare come lo stavo facendo con il gruppo. Molte donne facevano fatica a ballare con lui perché non si facevano portare sufficientemente. Perché non capivano la sua maniera. E non era che non le sapesse “marcare”. Bisognava entrare in sintonia con la sua sensibilità. Qui si nota quando una ballerina è preparata, ossia quando può farsi portare da qualunque compagno, in qualunque stile le proponga l'uomo. Verdun poteva ballare con quelle che si lasciano portare dalla cadenza della musica, da questo abbraccio semplice e profondo. Niente sequenze basiche, giri, strani pivot. Un dolce farsi cullare dalla musica. Un tango ascoltato come lo si deve ascoltare. Un tango sentito profondamente, naturalmente, essenzialmente.
Verdun è questo protagonista della storia del tango. È il soldato sconosciuto del tango. Quello che ballò nei club, seguì le orchestre, comprò i dischi, ascoltò le radio. Verdun è uno di questi innumerevoli uomini orgogliosi di esserlo. È questo portegno o uruguagio che faceva sbocciare il ballo come la cosa più naturale della sua vita. Ascoltare Gardel o ballarsi qualche tango erano cose tanto essenziali come bere mate o cucinare un asado. Tanto naturale e impercettibile per la sua vita. Ora sembra che questo si sia convertito in un atto quasi eroico. Sì, in un certo senso lo è. Come è eroico vivere e continuare la vita di una comunità amandola senza darsene conto. Amare le cose proprie della vita della comunità perché sono così, solo per questo. Verdun è il portatore di un segreto che si trasmette e si riceve da mano a mano.
Io proposi a Verdun che venisse a ballare nelle mie lezioni, dato che gli piaceva moltissimo. Per lui era ritrovarsi con la sua gioventù, con i suoi propri desideri. Veniva incantato alle lezioni ad abbracciare queste giovani un poco reticenti a ballare con lui. Loro desideravano braccia giovani e un ballo un po' più complesso. Io godevo nel ballare qualche tango con lui. Gli proposi che venisse solo a ballare. Cercammo, a sua richiesta, di trasmettergli qualche passo. Gli risultava un po' difficile. Cosa risultava difficile, a quest'uomo, che era tutto fatto di tango? Gli costava entrare in un lavoro di assorbire una nuova maniera. Il suo stile di ballare tango era il suo. Era di tutta la vita. Gli dissi che non aveva senso che imparasse qualcosa, poiché già sapeva. Pensai anche che la esperienza poteva essere inversa. Che Verdun potesse insegnarci qualcosa. Però lui voleva solo ballare. Mi pareva che l'esperienza più interessante era che ballasse con le ragazze e che io cercassi di trasmettere loro quale fosse l'incanto del suo ballo, anche quando loro ancora non lo potessero capire.
Perché Verdun, come quell'illustre soldato sconosciuto degli eserciti del tango, non è quello che nei club emergeva per il suo ballo. In ogni barrio c'era, così lo raccontano alcuni vecchi ballerini, un club o un salone dove si ballava tango. E lì emergeva qualcuno, che potremmo riconoscere ora come maestro, come Portalea di Sin Rumbo. Ogni ballo, ogni barrio aveva qualche ballerino di tango rinomato. Dicono che un abile ballerino di un barrio non andava a ballare al centro di riunione di un altro barrio. Colui che si distingueva era unico, e aveva cura del suo posto. E anche i suoi vicini avevano cura del suo posto. In ogni locale o club c'erano ballerini più bravi che erano in grado di fare effettuare l'incrocio alla donna, che erano in grado di fare il giro, che sapevano mostrare le loro abilità con i piedi. Erano quelli che forse avano imparato in qualche scuola, anche se la maggioranza avevano appreso dai genitori, o dai fratelli maggiori, dagli amici del barrio, dagli altri ballerini del club. Erano quelli che avevano cominciato a ballare da piccoli e che cercavano di ballare sempre un po' meglio, di aggiungere figure, mostrare le loro destrezze. Questi anziani che ci raccontano la loro storia ci dicono che in ogni barrio c'erano differenze nel modo di ballare. Ci raccontano che fra barrio e barrio c'erano differenze... piccole, però grandi per quelli che erano immersi nel micromondo del quartiere. I più osservatori, i più impegnati, i ballerini assidui di ogni barrio lo notavano.
Lo stile Verdun è lo stile di quelli che, semplicemente, ballavano. Piaceva loro ascoltare certe orchestre. Avevano i loro cantanti o vocalisti prediletti. Ballavano e impararono a ballare in modo semplice. È molto probabile che nessuno avesse loro insegnato. Che entrassero nell'arena della pista e lì, spontaneamente, la danza cominciasse. Poi, con il tempo, si stabilirono in uno stile personale e semplice, e continuarono così. Ogni tango che ballavano era una sfida, non di destrezza tecnica, ma la sfida di rinnovare un piacere.
Verdun smise di venire a queste lezioni del sabato. Però sempre quando mi vedeva entrare nel corridoio mi diceva “Sabato prossimo, vengo!...” I suoi occhi brillavano quando lo diceva. Si capiva la felicità nel suo modo di dirlo, sul suo volto. La sua vita era abbastanza opaca, in quei giorni. Recuperava la sua brillantezza, quando ballava tango.
Si potrebbe pensare che lo stile Verdun era più autentico di altri? Sarebbe uno sproposito dirlo. Si potrebbe dire che la semplicità di Verdun è quella del vero tango? Nulla di più lontano dal vero. Si tratta di convertire Verdun in un modello da imitare? No, poiché è inimitabile.
La potenza della musica per Verdun e per il suo ballo è la medesima della potenza della musica per un ballerino straordinario come Gustavo Naveira[1]. Tutti e due sono spinti, dominati, dalla musica. Però è chiaro: ci sono grandi differenze. Gustavo sa quello che sta facendo. Questo sapere è un tipo di dominio di ciò che fa. Però tuttavia la sua sensibilità di fronte alla musica è la stessa che quella di Verdun. La musica li prende tutti e due alla pancia e li fa ballare. Gustavo può sezionare in piccole particelle ciò che fa, quando spiega la ragion d'essere di ognuno dei suoi movimenti. Inoltre può arricchire i suoi movimenti di ballo, può dominare il suo corpo perché l'interpretazione sia più ricca, più abile, più variata. Però tutti e due condividono qualcosa che fa che un ballerino di tango sia un autentico ballerino, e cioè che la musica li colpisce in maniera tale che il loro ballo viene determinato da essa.
La distanza che c'è fra Gustavo e Verdun è enorme se li vediamo dalla distanza piccola del barrio. Così come si vedevano piccole differenze fra barrio e barrio, allo stesso modo possiamo vedere grandi differenze di stile fra Gustavo Naveira e Verdun. Ma sono poi differenze di stile? Forse sì, forse no. Dipende dalla distanza del luogo da dove si osservi. Però in qualcosa non sono differenti. Nessuno dei due può smettere di godere di ballare il tango con la musica.
Se scegliamo di guardare dalla distanza che ci è permessa dall'epoca di Google Earth, vedremo che le differenze si riducono, e che Gustavo e Verdun sono vicini di casa dello stesso barrio, della stessa sensibilità.
Forse nello stile che ora viene chiamato “milonguero” si riflette qualcosa di questo spirito semplice dello stile Verdun. Però lo stile milonguero si è ormai trasformato in uno stile sofisticato, rispetto al Verdun propriamente detto. E perché no? Perché non andare acquisendo nuove destrezze, nel momento in cui si conservi lo stesso piacere del ballo? Verdun voleva arricchire il suo ballo. Voleva ricrearlo. Non per tradire il suo stile, ma per godere di qualcosa di nuovo. Io gli proposi di insegnargli qualche piccola cosa conservando il suo stile. Però imparare a ballare come lo facevamo noi era dovere mettere una grande parentesi in quello che faceva. Certamente, Verdun poteva aggiungere qualche passo per sentirsi meglio. Però è anche certo che Verdun già era arrivato al suo stile. Già aveva il suo ballo completo. E aveva quello che non tutti tengono: la sensibilità per la musica, e il movimento, il suo.
Quello che facciamo noi ora, che ormai abbiamo accademizzato l'insegnamento, che possediamo conoscenze della dinamica dei movimenti, è cavalcare sopra un tango molto più ricco, complesso, interessante nel suo aspetto tecnico.
Anche se è certo che dobbiamo insegnare ad ascoltare la musica. Nessuno insegnò a Verdun come doveva muoversi con certe orchestre, e meno ancora quello che doveva provare, sentire. Nessuno disse a Verdun come doveva “sentire” la musica. Questo ci fu in lui da sempre. Ora dobbiamo organizzare seminari perché la gente ascolti i timbri, i ritmi, i fraseggi delle differenti orchestre e possa interpretarli. Però non lo insegniamo per imporre un modo. Lo insegniamo perché altrimenti la gente non balla con la musica, fa passi e figure senza metterci quello che è la fibra fondamentale dello stile Verdun: la musica è ciò che ti fa ballare.
Sebbene ciò capiti soprattuto con gli stranieri, ossia con quelli per i quali la musica del tango è qualcosa di strano, nuovo, esotico, è anche certo che per molti rioplatensi la musica del tango è qualcosa che ha smesso di essere il luogo in cui si è nati. Per molti di qui (Buenos Aires, ndt)la musica è qualcosa che bisogna lasciare entrare nella nostra sensibilità.
Però non si tratta solo del fatto di potere ascoltare la musica, ma che i movimenti che essa provoca rispondano al suo timbro, al suo colore, alla sua cadenza.. Non si tratta solo di andare al ritmo con la musica. Questo si può fare, e tuttavia la sensibilità del movimento provocato dalla musica non si vede, non si riflette.
La sfida che hanno le nuove generazioni con il tango non è solo potere ricreare il ballo nel suo aspetto tecnico. È chiaro che il momento attuale è di una complessità crescente, di cui non possiamo sapere dove finirà nel suo accelerato, continuo e sorprendente arricchimento. La sfida è che si balli con la musica, con questa sensibilità naturale che fa sì che il movimento risponda ai colpi della musica, al suo ritmo, alla sua melodia e al suo fraseggio. La sfida che si continui con questa forte eredità di un ballo segnato dalla musica.
Verdun rappresenta l'anonimo popolo che alimenta lo spirito del tango senza saperlo, senza avere idea di quello che fa. Casualmente, Verdun si chiama come quella battaglia della prima guerra mondiale in cui morirono circa mezzo milione di soldati francesi e tedeschi. Sembra che fosse qualcosa come un pareggio (le mie conoscenze della prima guerra mondiale sono scarse). Dicono che fu un pareggio virtuale in una battaglia non decisiva. Credo che Verdun, il mio vicino di casa, sia uno di quei milioni di soldati sconosciuti che combatte in una battaglia, forse non cruciale, però certamente una battaglia, quella del tango, che si continua a sostenere giorno dopo giorno da parte di ciascuno che lo balli, col suo protagonismo anonimo, forse non decisivo, ma di certo essenziale.
[1]Scelgo di nominare Gustavo Naveira per metterlo in relazione con Verdun poiché egli è il maggior esponente di un certo stile di ballare il tango che alcuni sono molto interessati a separare da altri stili. Sono moltissimi i nomi di ballerini che potrebbero rappresentare qui questa cosa che condividono Gustavo e Verdun, moltissimi nomi di ballerini famosi così come anonimi. Il contrappunto è per ravvicinare questi due, Gustavo e Verdun, che molti vogliono distanziare.
TRADUCCIÓN: PIER ALDO VIGNAZIA
Fragmento de mi libro "Tango. Arte y misterio de un baile". Corregidor, 2011