1 set 2013

L'ABBRACCIO PORTEÑO Y EL TANGO, di Sergio Caregnato

L'abbraccio porteño e il tango
di Sergio Caregnato

In qualità di Italiano mi sono trovato a passeggiare per Buenos Aires negli ultimi anni in diverse occasioni, tutte solo marginalmente associate al tango. Non ero là per ballarlo, e non andavo a ballarlo se non sporadicamente con  alcuni amici che ho in quella città. Il tango è diventato un dato di fondo della città, un articolo buono per il merchandising turistico certo, ma non solo. Come il rumore del traffico, i marciapiedi sbrecciati o le migliaia di 'folletos' che finiscono invariabilmente per tapezzare i marciapiedi della città, offrendo servizi la cui natura non occorre essere alfabetizzati per comprendere, anche il tango si è fatto posto nella iconografia di Buenos Aires. Intendo la Buenos Aires che conta, quella delle belle 'avenidas' alla moda, dei bei palazzi, con locali per il tango che 'in estate' (vale a dire per l'estate degli europei cioè ad agosto) si popolano di europei e di italiani in particolare. Persino uno dei bei bar dell' aereoporto di Ezeiza, rinnovato ed ampliato di recente, ora si chiama 'Tango bar', scritta rossa su sfondo nero, naturalmente. Eccoci dunque arrivati al campionato del mondo di tango (che non a caso si svolge ad agosto), al tango patriomonio dell'Unesco, icona argentina, utile strumento di rilancio, non solo economico, dell'immagine dell'argentina e della sua capitale. La politica, cittadina o nazionale, non poteva rimanerne fuori. Tutte cose buone, sia chiaro, ma che inducono utili riflessioni sui percorsi dei fenomeni culturali a livello planetario, attivi anche prima che internet trasformasse il pianeta in una specie di pollaio.

Il tango è nato nelle 'boites' luride della Boca, forse. Ma arrivato a Parigi negli anni dieci, è rientrato in Argentina, francesizzato. E ora con questa 'nouvelle vague' tanguera i maestri del tango argentino sono assai sensibili alle aspettative, spesso meri luoghi comuni, degli apprendisti stranieri. L'invenzione di un tango 'nuevo' si pone all'intersezione tra esigenze di mercato e quelle di fare cose vecchie secondo una sensibilità autenticamente 'nueva', anche se non necessariamente argentina. E poi diciamolo, un ballo che investe la sua qualità profonda in una relazione intessuta di intimità vera, si esterna con difficoltà. Il 'tango escenario' invece risponde perfettamente alle richieste di un'immagine di cui, non a caso, la pubblicità si è impossessata già da alcuni anni. Ora quindi non ci si deve stupire di incontrare italiani che spiegano ai 'portenos' la loro città, o che figurino benissimo nei campionati di tango o nelle 'milongas'. Ma non di questa (dubbia) 'argentinità' del tango vi voglio parlare – come se il tango fosse un insieme di figure da eseguire secondo una ben confezionata retorica di cui i maestri locali sono gli eclusivi amministratori. Al contrario, vorrei sottolineare che, invece, nonostante questa pressione esercitata sul tango dall'industria culturale, questo ballo tenacemente conserva qualcosa di fortemente locale, qualcosa che si trova solamente qui, nel 'culo del mundo' come si dice a Buenos Aires, e che esercita un'attrazione sugli stranieri grazie ad un tratto che lo distingue, anche nettamente. Buenos Aires lascia una traccia forte al visitatore occasionale e di quella traccia il tango porta uno specimine. Ed è di questo che voglio occuparmi in questa nota.

Questa nota non nasce dall'esperienza del tango porteno, dalle osservazioni che si possono fare seduti al tavolo di una milonga, sorseggiando un 'cortadito' o una 'Quilmes', oppure gustando una 'empanada de jamon y queso' mentre una folla composita balla. Nasce piuttosto da quello che si sente per strada, dalle espressioni impiegate dagli abitanti di questa città quando si incontrano, da come si rivolgono la parola, si abbracciano, si stringono, dai sorrisi. Dalla convivialità. Vi è a Buenos Aires un modo esplicito di coinvolgere il corpo nelle relazioni umane che trova un suo corrispettivo linguistico nelle parole e con quelle si confondono. Si tratta, nei contesti che sono più comuni e familiari, di espressioni di cordialità, di piacere di incontrarsi, di stringersi ed abbracciarsi che sono indicatori di un interesse per l'altro che nell'Italia in cui vivo si è andato gradualmente perdendo, o forse non `mai esistito. Uno di questi segni della lingua, uno dei più evidenti ma non forse il più interessante, è l'uso dei vezzeggiativi.  Paula diventa  'paulita', il cortado, il 'cortadito' e tutto viene 'avvicinato' , familiarizzato, piegato ad una logica che rende gli oggetti abbracciabili, fatti propri. E' ben vero che questo potrebbe esssere riferito a qualunque area dove si parli il castigliano. Ma camminando per la città e drizzando le orecchie sentirete centinaia di espressioni di una socialità viva e frizzante che conserva quella marca che Borges aveva definito 'fervor'. Quando ci si incontra, ci si bacia sempre. Un solo bacio. E poi la lunga serie di 'me alegro' o 'que alegria' oppure  'divino' , 'que placer verte 'gracias, muy amable’.  E’ la convenzione dell’educazione del ‘carino’  la cui sinceritá  viene sottolineata  dalla partecipazione del corpo. E' un 'fervor' che l'anima portena non riesce a trattenere e che il corpo continuamente interpreta, e che la mente indaga. Con la scusa del tango, si scopre una Buenos Aires pulsante, vivace, ricchissima di fermenti culturali, fatta di gente che cerca e ricerca, che si riunisce, che discute con passione, che si pone il problema del mondo in cui vive. Quel mondo, lo vuole comprendere, sentirlo vivo e attivo, lo vuole 'abbracciare'. Fare una conferenza a Buenos Aires singifica, il più delle volte, attirare una folla interessata, vivace, competente, entusiasta che si incontra in una sala di una università che in Europa sarebbe giudicata 'male in arnese', ma dove la vita scorre e vi trasmette vita. Questo è l'abbraccio porteno e di questa natura, l' 'abbraccio' del tango porta una traccia che è difficilmente riporducibile e spiegabile al di fuori della città. Per il visitatore sensibile, questo incontarsi, stringersi, abbracciarsi, oscillare secondo un armonia spesso poco percepibile all'esterno è una delle anime del Tango. L'abbraccio è la metafora poco esportabile di cui Buenos Aires resta titolare esclusiva e forse anche inconsapevole, come siamo spesso inconsapevoli di ciò che costituisce un tratto saliente della nostra specificità culturale.

Naturalmente, per qualcuno l'abbraccio resta solo un abbraccio, e fatto al club Los Bohemios della Boca o a Treviso, o nella bassa Padana, poco cambia. Il Tango diventa in questo caso, come nel caso di altri balli, una specie di ginnica che coinvolge solo il corpo, o una strategia utile 'para levantar una mina'. Un po' poco, forse, oppure no. Dipende.

Ma il tango ci presenta l'abbraccio porteno in una forma intimamente pregnante, galante e coinvolgente. Esiste però, nella Buenos Aires di oggi, anche un abbraccio più ruvido ma non meno significativo. Quando si lascia il Club “Los Bohemios” ci si trova in un quartiere che a Buenos Aires si definirebbe, con un eufemismo, 'complicato'. Siamo nella Boca: le costruzioni sono scalcinate, gira per la strada un'umanità che ci appare 'randagia' e poco raccomandabile, le macchine parcheggiate sono buone per la demolizione, le porte e le finestre delle case, anche quelle povere, sono protette da inferiate. Il Club ha un parcheggio custodito al suo interno e i ragazzi che lo gestiscono sono affabili e gentilissimi, ma fuori, quell'abbraccio che era nato, probabilente, proprio in questo quartiere, assume un 'corpo' che è un'altra faccia dell'Argentina. Una faccia ruvida e povera non rintracciabile nelle belle milongas del centro, né nelle rappresentazioni 'mitologiche' dei turisti, ma che tuttavia è ben presente, anche quando provoca rezioni molto diverse, a tutti gli abitanti di questo paese. Anche di questo aspetto nascosto, porta tracce l'abbraccio di Buenos Aires e del tango.

Treviso
1/settembre/2013