L'abbraccio porteño e il tango
di Sergio Caregnato
In
qualità di Italiano mi sono trovato a passeggiare per Buenos Aires
negli ultimi anni in diverse occasioni, tutte solo marginalmente
associate al tango. Non ero là per ballarlo, e non andavo a ballarlo se
non sporadicamente con alcuni amici che ho in quella città. Il tango è
diventato un dato di fondo della città, un articolo buono per il
merchandising turistico certo, ma non solo. Come il rumore del traffico,
i marciapiedi sbrecciati o le migliaia di 'folletos' che finiscono
invariabilmente per tapezzare i marciapiedi della città, offrendo
servizi la cui natura non occorre essere alfabetizzati per comprendere,
anche il tango si è fatto posto nella iconografia di Buenos Aires.
Intendo la Buenos Aires che conta, quella delle belle 'avenidas' alla
moda, dei bei palazzi, con locali per il tango che 'in estate' (vale a
dire per l'estate degli europei cioè ad agosto) si popolano di europei e
di italiani in particolare. Persino uno dei bei bar dell' aereoporto di
Ezeiza, rinnovato ed ampliato di recente, ora si chiama 'Tango bar',
scritta rossa su sfondo nero, naturalmente. Eccoci dunque arrivati al
campionato del mondo di tango (che non a caso si svolge ad agosto), al
tango patriomonio dell'Unesco, icona argentina, utile strumento di
rilancio, non solo economico, dell'immagine dell'argentina e della sua
capitale. La politica, cittadina o nazionale, non poteva rimanerne
fuori. Tutte cose buone, sia chiaro, ma che inducono utili riflessioni
sui percorsi dei fenomeni culturali a livello planetario, attivi anche
prima che internet trasformasse il pianeta in una specie di pollaio.
Il
tango è nato nelle 'boites' luride della Boca, forse. Ma arrivato a
Parigi negli anni dieci, è rientrato in Argentina, francesizzato. E ora
con questa 'nouvelle vague' tanguera i maestri del tango argentino sono
assai sensibili alle aspettative, spesso meri luoghi comuni, degli
apprendisti stranieri. L'invenzione di un tango 'nuevo' si pone
all'intersezione tra esigenze di mercato e quelle di fare cose vecchie
secondo una sensibilità autenticamente 'nueva', anche se non
necessariamente argentina. E poi diciamolo, un ballo che investe la sua
qualità profonda in una relazione intessuta di intimità vera, si esterna
con difficoltà. Il 'tango escenario' invece risponde perfettamente alle
richieste di un'immagine di cui, non a caso, la pubblicità si è
impossessata già da alcuni anni. Ora quindi non ci si deve stupire di
incontrare italiani che spiegano ai 'portenos' la loro città, o che
figurino benissimo nei campionati di tango o nelle 'milongas'. Ma non di
questa (dubbia) 'argentinità' del tango vi voglio parlare – come se il
tango fosse un insieme di figure da eseguire secondo una ben
confezionata retorica di cui i maestri locali sono gli eclusivi
amministratori. Al contrario, vorrei sottolineare che, invece,
nonostante questa pressione esercitata sul tango dall'industria
culturale, questo ballo tenacemente conserva qualcosa di fortemente
locale, qualcosa che si trova solamente qui, nel 'culo del mundo' come
si dice a Buenos Aires, e che esercita un'attrazione sugli stranieri
grazie ad un tratto che lo distingue, anche nettamente. Buenos Aires
lascia una traccia forte al visitatore occasionale e di quella traccia
il tango porta uno specimine. Ed è di questo che voglio occuparmi in
questa nota.
Questa nota non nasce dall'esperienza del
tango porteno, dalle osservazioni che si possono fare seduti al tavolo
di una milonga, sorseggiando un 'cortadito' o una 'Quilmes', oppure
gustando una 'empanada de jamon y queso' mentre una folla composita
balla. Nasce piuttosto da quello che si sente per strada, dalle
espressioni impiegate dagli abitanti di questa città quando si
incontrano, da come si rivolgono la parola, si abbracciano, si
stringono, dai sorrisi. Dalla convivialità. Vi è a Buenos Aires un modo
esplicito di coinvolgere il corpo nelle relazioni umane che trova un suo
corrispettivo linguistico nelle parole e con quelle si confondono. Si
tratta, nei contesti che sono più comuni e familiari, di espressioni di
cordialità, di piacere di incontrarsi, di stringersi ed abbracciarsi che
sono indicatori di un interesse per l'altro che nell'Italia in cui vivo
si è andato gradualmente perdendo, o forse non `mai esistito. Uno di
questi segni della lingua, uno dei più evidenti ma non forse il più
interessante, è l'uso dei vezzeggiativi. Paula diventa 'paulita', il
cortado, il 'cortadito' e tutto viene 'avvicinato' , familiarizzato,
piegato ad una logica che rende gli oggetti abbracciabili, fatti propri.
E' ben vero che questo potrebbe esssere riferito a qualunque area dove
si parli il castigliano. Ma camminando per la città e drizzando le
orecchie sentirete centinaia di espressioni di una socialità viva e
frizzante che conserva quella marca che Borges aveva definito 'fervor'.
Quando ci si incontra, ci si bacia sempre. Un solo bacio. E poi la lunga
serie di 'me alegro' o 'que alegria' oppure 'divino' , 'que placer
verte 'gracias, muy amable’. E’ la convenzione dell’educazione del
‘carino’ la cui sinceritá viene sottolineata dalla partecipazione del
corpo. E' un 'fervor' che l'anima portena non riesce a trattenere e che
il corpo continuamente interpreta, e che la mente indaga. Con la scusa
del tango, si scopre una Buenos Aires pulsante, vivace, ricchissima di
fermenti culturali, fatta di gente che cerca e ricerca, che si riunisce,
che discute con passione, che si pone il problema del mondo in cui
vive. Quel mondo, lo vuole comprendere, sentirlo vivo e attivo, lo vuole
'abbracciare'. Fare una conferenza a Buenos Aires singifica, il più
delle volte, attirare una folla interessata, vivace, competente,
entusiasta che si incontra in una sala di una università che in Europa
sarebbe giudicata 'male in arnese', ma dove la vita scorre e vi
trasmette vita. Questo è l'abbraccio porteno e di questa natura, l'
'abbraccio' del tango porta una traccia che è difficilmente
riporducibile e spiegabile al di fuori della città. Per il visitatore
sensibile, questo incontarsi, stringersi, abbracciarsi, oscillare
secondo un armonia spesso poco percepibile all'esterno è una delle anime
del Tango. L'abbraccio è la metafora poco esportabile di cui Buenos
Aires resta titolare esclusiva e forse anche inconsapevole, come siamo
spesso inconsapevoli di ciò che costituisce un tratto saliente della
nostra specificità culturale.
Naturalmente, per qualcuno
l'abbraccio resta solo un abbraccio, e fatto al club Los Bohemios della
Boca o a Treviso, o nella bassa Padana, poco cambia. Il Tango diventa in
questo caso, come nel caso di altri balli, una specie di ginnica che
coinvolge solo il corpo, o una strategia utile 'para levantar una mina'.
Un po' poco, forse, oppure no. Dipende.
Ma il tango ci
presenta l'abbraccio porteno in una forma intimamente pregnante, galante
e coinvolgente. Esiste però, nella Buenos Aires di oggi, anche un
abbraccio più ruvido ma non meno significativo. Quando si lascia il Club
“Los Bohemios” ci si trova in un quartiere che a Buenos Aires si
definirebbe, con un eufemismo, 'complicato'. Siamo nella Boca: le
costruzioni sono scalcinate, gira per la strada un'umanità che ci appare
'randagia' e poco raccomandabile, le macchine parcheggiate sono buone
per la demolizione, le porte e le finestre delle case, anche quelle
povere, sono protette da inferiate. Il Club ha un parcheggio custodito
al suo interno e i ragazzi che lo gestiscono sono affabili e
gentilissimi, ma fuori, quell'abbraccio che era nato, probabilente,
proprio in questo quartiere, assume un 'corpo' che è un'altra faccia
dell'Argentina. Una faccia ruvida e povera non rintracciabile nelle
belle milongas del centro, né nelle rappresentazioni 'mitologiche' dei
turisti, ma che tuttavia è ben presente, anche quando provoca rezioni
molto diverse, a tutti gli abitanti di questo paese. Anche di questo
aspetto nascosto, porta tracce l'abbraccio di Buenos Aires e del tango.
Treviso
1/settembre/2013